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BLOGTOUR "Baby don't cry" di Paola Garbarino

by - venerdì, ottobre 27, 2017




Lettori,
siamo lieti di ospitare la tappa del blogtour dedicato al romanzo di Paola Garbarino dal titolo Baby don't cry. Leggiamo insieme qualche estratto!

TITOLO: Baby don't cry

AUTORE: Paola Garbarino

EDITORE: Self publishing

PUBBLICAZIONE: 28 ottobre 2017

GENERE: Contemporary romance

COSTO: € 2,99 ebook; € 14,99 cartaceo

Lui non mi aveva mai fatto male. A parte la prima volta, per parecchi secondi per me interminabili ma non l’aveva fatto apposta. E a parte nel mio cuore e lì l’aveva fatto apposta.
Ogni cosa mi faceva pensare a lui, perché Milo era dappertutto.
Ed era dappertutto perché era dentro di me.


Il cuore mi batte velocissimo. Lui mi ha già conquistata ma non posso mica confermarglielo “Sei proprio un arrogante!”
“Lo sento… come ti batte il cuore ogni volta che ti bacio.”
“Magari io non provo niente di tutto ciò, brutto presuntuoso! Magari il mio cuore batte così perché ho problemi cardiaci. Magari è solo che mi piace baciarti perché non mi sbavi la faccia come altri.”
“Quali altri?”
Milo e Petra si conoscono dalle elementari e adesso stanno per laurearsi. Da anni sono amici con benefici, trascorrono momenti infuocati nel privato ma quasi si ignorano appena messo piede fuori dal letto. Come sono arrivati a questo punto?
Si può crescere con l’idea del principe azzurro e del lieto fine e non soccombere alla realtà delle relazioni moderne?
La storia di un piccolo grande amore, una di quelle come ce ne sono tante: il primo batticuore della giovinezza, quell’esperienza straordinariamente intensa, meravigliosa e difficile, che può essere l’adolescenza; quell’amore che si sente potente e fragile allo stesso tempo, che si crede immortale e invincibile. La storia che sarà la base di tutte le nostre relazioni future: coi suoi picchi, i suoi sbagli, le sue emozioni estreme, le piccole ossessioni, la complicità degli amici, la passione che sboccia.
E poi la presa di coscienza, la perdita dell’innocenza, del crescere, del diventare grandi.
È vero, le fiabe forse sono morte ma si può ancora sperare nel vissero felici e contenti.
Un nuovo romance intenso e passionale dalla stessa autrice dei Bestseller Amazon Strange Love - Per una sola notte e Non ricordo ma ti amo; della serie new adult Stars Saga; e del fanta romance Il popolo dei Sogni.





Presente

Eccolo lì, individuai immediatamente la massa di riccioli neri.

L’aula era già quasi piena, quindi dovemmo per forza sistemarci una fila avanti alla sua, sulla destra.

Mi sentivo il suo sguardo addosso, come sempre, era una sensazione iniziata in quinta elementare e non era cambiata mai, anzi, talvolta mi era capitato, in un’aula piena, nella nostra discoteca, in giro nei vicoli delle Erbe d’inverno o ai Bagni Monumento d’estate, di provare la medesima sensazione e poi scorgerlo da qualche parte. Avvertivo la sua presenza, ovunque.

Mi sedetti e tirai fuori il quaderno degli appunti, dando un’occhiata a quelli della volta prima.

Il mio schifoso karma aveva fatto sì che diventasse, alle superiori, uno dei migliori amici di mio cugino Simone: erano nella stessa squadra di calcio con cui facevano la partitella della domenica, come l’aveva sempre definita Milo, il cui vero interesse era l’atletica; invece mio cugino viveva ogni partita come fossero i mondiali; nonostante questa differenza di vedute, anziché lesionarsi menischi a vicenda erano diventati amiconi.

Simone sapeva parecchie cose su me e Milo Romano, gliene avevo parlato e, ad alcune pietose scene, aveva anche assistito, ciò però non l’aveva fermato dal diventargli grande amico. Probabilmente non si raccontavano segreti nel cuore della notte, come noi ragazze, la loro amicizia virile era più un darsi pacche sulle spalle, darsi del buliccio, inneggiare alla Mussa e portare fusti di birra in serate a rutto libero in cui guardavano partite alla tv o le giocavano con la Playstation. Non potevo capire quei rapporti maschili nati negli spogliatoi, forse era qualcosa che aveva a che fare col riverire chi ce l’aveva più grosso, una roba da gorilla alfa. E Milo era notevole, senz’ombra di dubbio, ora che ne avevo visti altri potevo affermarlo con cognizione di causa.



Sentii il suo alito caldo nel mio orecchio, che mi riportò alla mente altri momenti di diverso genere “Come va, Nilla?”

“Benissimo grazie.” senza distogliere lo sguardo dai miei appunti.

“Avevo tenuto un posto.”

“Non ho visto posti liberi vicino a te.”

“È come cercare di tenere la prima fila a un concerto dei Thirty seconds to Mars.”

“Sappiamo tutti che sei il Jared Leto della situazione. Ti lanciano anche i reggiseni?”

Rimase zitto un momento e io mi voltai appena per guardarlo.

“Se tu arrivassi qualche minuto prima, riuscirei a tenerlo vuoto.”

“Preferisco sedermi vicina a Vera così copio i suoi appunti.”

Cambiò discorso “Hai trovato le dispense su Eliot?”

“Sì!”

Cambiò discorso di nuovo visto che non gli davo appigli “Vieni a vederci giocare domenica?”

“Avrò la bella visione di qualcuno che fa fallo su di te?” ributtai lo sguardo sul mio quaderno.

Rimase zitto tre secondi “Vomitato su qualcuno, oggi?”

Perlomeno non mi chiamava più Petronilla Vomitilla, soprannome esecrato che mi aveva accompagnata sino alla terza media.

“No, ma se vuoi ricomincio adesso, per te. Che scarpe hai?” sempre senza guardarlo, maledicendo la prof. che oggi era in ritardo.

Lo sentii fare il suo sorrisetto arrogante, che era anche adorabile perché aveva una bella faccia “Nike.”

“Costose?”

“Abbastanza.”

“Se vuoi m’impegno.”

La pazza entrò, decantando, in inglese, un verso de La terra desolata di Thomas Eliot.

“Mi piace di più quando t’impegni in altre cose.” e svanì.

Non mi avrebbe mai lasciata in pace. Erano passati anni dall’incidente vomitoso ma non faceva che tirar fuori l’argomento. Non che mi prendesse in giro davanti ad altri, lo faceva solo con me, però era stressante. In parte era colpa mia se era ancora così presente nella mia vita, con la maggior parte della gente delle elementari e medie c’eravamo persi non andando nella stessa scuola superiore. Avevo un’altra compagnia da frequentare ma solitamente finivo sempre per uscire con quella in cui bazzicava anche Milo.

E soprattutto era colpa mia perché non avrei dovuto cedere alla sua bella faccia.

E al suo bel corpo.

E alla sua trascinante risata.

E al modo in cui si scostava indietro il ciuffo.

E a come arricciava le labbra quando era perplesso.

E a come sorrideva quando ti guardava come se sapesse verità a te sconosciute.

Dannazione!



Passato - 3 Media

Il festeggiato approfitta dell’assenza momentanea dei genitori e dell’implicito consenso del fratello maggiorenne chiuso in camera propria, per tirare fuori la famigerata bottiglia, già solo vederla mi crea palpitazioni. Se mi rifiuto di giocare verrò presa di mira, invece giocando ho la probabilità di scamparla, siamo tanti. I fortunati devono chiudersi cinque minuti nella cabina armadio.

Sono già due le coppie che escono da lì, un po’ stropicciate.

La bottiglia ora è in mano a Samuel Raffei. La fa girare e mi scocca un’occhiata. Per un secondo immagino di finire nella cabina con lui: per carità, meglio lui di altri, è carino ma fa sempre lo scemo e a scuola non è particolarmente brillante.

Il collo della bottiglia stavolta si ferma su Milo. In realtà, punta leggermente verso Toscanetti ma le ragazze urlano all’unisono che la bottiglia è su Romano.

Le posso capire, Toscanetti non sembra nemmeno umano.

Nemmeno Romano, ma perché lui sembra semidivino, tipo uno di quei personaggi eroici che abbiamo fatto in Epica.

So che lui è uno di quelli a cui le ragazze lasciano bigliettini con appuntamenti in bagno. E so che ci va.

Samuel fa una smorfia “Mi spiace, Romano, non ho proprio voglia di becciare con te.”

“Mi spezzi il cuore!” ride Milo, il turno passa a lui, si appropria della bottiglia allungando un braccio con un movimento agile che gli invidio; e la fa girare.

Questo giro mi sembra infinito e il mio cuore sta battendo più veloce. Quando si ferma, il collo della bottiglia sta puntando tra me e Vera, lo vedo perfettamente e so che Milo farà come le ragazze prima, dirà che tocca a Vera perché lei è più carina.

“Petronilla!” risuona e mi sembra che abbia urlato anche se non l’ha fatto.

Cala un silenzio di tomba.

Sento Vera sogghignare: lei è entusiasta, vuole che mi tolga questa fobia del primo bacio così poi potrò andare avanti nella scoperta dell’altro sesso.

Io voglio morire.

Non perché Milo non mi attragga, potrebbe stare sulla copertina di Cioè ma, diavolo, non lui, mi ha chiamata Petronilla Vomitilla sino a un’oretta fa.

Si alza, tranquillo.

Io lo sto ancora fissando da inginocchiata a terra.

“Petronilla?” come a dire: muoviti!

Vera mi dà una gomitata e io mi alzo come un robot.

Sento qualche compagna di classe delusa o invidiosa ma io cederei volentieri il mio posto.

Sarà una strage!

Come minimo gli vomiterò di nuovo addosso, anche se sono tre anni che non succede.

Una parte di me vuole davvero togliersi questo peso del primo bacio, la scuola sta per finire e io non posso pensare di passare l’estate dei miei tredici anni o, addirittura, iniziare il liceo, senza aver mai baciato qualcuno. Non ho nemmeno più la scusa di portare l’apparecchio, me lo hanno tolto da cinque mesi.

La porta della cabina armadio viene chiusa, mentre qualcuno fa partire un timer.

Siamo inginocchiati l’uno davanti all’altra.

“Toccava a Vera…” dico, come se potesse cambiare il fatto che chiusi qui dentro ci siamo noi due.

“No, era su di te.”

“Vera è più carina.”

“Sì, Vera è mooolto carina!”

“Appunto.”

Si avvicina e sorride “Hai una fifa blu, Petronilla Vomitilla?”

“Ti odio quando mi chiami così.”

Fa un risolino “Ti prego, non vomitare o resterò sconvolto e la mia vita sessuale verrà distrutta.”

“Hai una vita sessuale?”

“Più della tua certamente.”

“E tu che ne sai?” punta nell’orgoglio.

Qualcuno, fuori, grida: meno quattro!

Ma la cosa non sembra mettergli particolarmente fretta, sembra calmo, padrone di sé e della situazione. Lo invidio, io vorrei sotterrarmi “La facciamo sparire questa fifa blu?” sorride e non sembra ironico “Ci siamo soltanto noi due qui dentro, non uscirà niente fuori da questo armadio.”

Forse ha capito che è il mio primo bacio.

Io apro bocca e la richiudo, tipo pesce agonizzante. Vorrei fare la dura come faccio di solito ma il suo sguardo mi sta incastrando. Sono talmente agitata che vorrei promettergli la mia merenda vita natural durante, se farà credere agli altri che ci siamo baciati. Ma qualcosa mi blocca dal fargli la proposta e non è soltanto la certezza che uno come lui rifiuterebbe e mi prenderebbe per il sedere pure per questo.

“Se ora mi dài un bacio, giuro che smetterò di chiamarti Vomitilla. Non lo dirò mai più.”

Questo è interessante “Non lo scriverai neppure sulla lavagna?” lui è come il Demonio e io devo stare attenta a tutte le postille di questo patto infernale. Andremo nello stesso liceo quindi il fatto che non lo scriva neanche è importante.

Si mette una mano sul cuore e si fa il segno di una croce “Giuro, non lo penserò nemmeno. Ti chiamerò solo Petronilla. Magari Nilla…”

“Nilla?”

“Sì, Nilla è più carino.”

“Beh, puoi chiamarmi Petra come fanno gli altri.” obietto, per prendere pateticamente tempo.

“Io non sono gli altri. E non cercare di prendere tempo! Allora, ci stai?”

“Vorrai anche la mia anima?” scherzo.

“Magari tra qualche anno…” e si avvicina ancor di più, ho le sue labbra a pochi centimetri ma non ci prova, aspetta “…magari tra qualche anno vorrò molto più che la tua anima…” in un sussurro.

Nella mia testa sto ripassando tutti gli insegnamenti di Vera; e anche la pratica col cuscino.

Poi sento il suo respiro, chewingum alla menta, su di me e ogni mio neurone va a farsi un giretto.
Presente

“Mangiato molto miele stamattina?”

“Speravo me ne dessi parecchio tu.” sbattendo le ciglia alla cerbiatto.

Gli tirai un colpetto sul petto ma era riuscito a strapparmi un sorriso “Levati dai piedi!”

Si avvicinò al mio orecchio, mi baciò il lobo e quel traditore del mio corpo reagì “Voglio quello che abbiamo pattuito.”

“Sei assurdo!”

Ma quella assurda ero io, perché dopo dieci minuti ero nuda sopra di lui.

Il sesso mi piaceva.

Quello con Milo Romano, particolarmente.

L’avevamo fatto a diciotto anni.

Poi per un anno e mezzo praticamente non c’eravamo parlati, io avevo sperimentato un po’ di avventure e lui pure; e aveva ricominciato a tormentarmi con la storia delle elementari ogni volta che m’incrociava in giro per Genova.

E poi, dopo il primo anno di università, una sera d’estate durante una spiaggiata a Sori, eravamo finiti di nuovo a letto insieme. Cioè, sulla sabbia.

E infine gli avevo chiesto un’amicizia con benefici, perché era davvero figo, sapeva anche farci ed era di nuovo single. E io, nel grande amore, non ci credevo. Mi era bastato vedere i miei genitori e pure quelli di Vera. Mi era bastato vedere me stessa.

Ero stata impopolare da bambina ma al liceo e, soprattutto, all’università, ero rifiorita, piacevo ai ragazzi e volevo essere spensierata, divertirmi, fare cazzate.

Milo era una delle mie leggerezze.

Andava tutto bene visto che eravamo d’accordo entrambi, però in pubblico spesso si comportava come uno stronzo.



Presente

Cercai di concentrarmi e di non guardarlo. Se lo guardavo impiegavo molto più tempo, perché mi perdevo nei dettagli del suo viso, del suo corpo, delle espressioni che gli tiravo fuori.

Mi ritrovai con la schiena sul materasso in un secondo “Cazzo, Nilla, apri gli occhi!” ordinò.

Obbedii, il mio cinismo di solito scompariva, assieme al mio raziocinio e ai miei buoni propositi, non appena lo sentivo dentro di me.

Scompariva anche la sua stronzaggine.

Lo guardai. Ogni volta mi sembrava che avesse gli occhi di un altro colore, tanto erano cangianti, con quel grigio e quel castano dorato, a seconda della luce e dell’umore.

Milo era molto passionale ma mai volgare. Non era egoista e non mi faceva mai sentire come se mi stesse usando, anche se entrambi sapevamo come stavano le cose tra noi.

Era perfetto, a letto, ma ricominciava con le sue imperfezioni non appena si alzava da lì.

Il mio sguardo s’incatenò al suo e mi persi nelle sue iridi, nelle pagliuzze dorate, nelle ciglia lunghe e nere.

Spinse forte e io gridai, ma non era dolore.

Milo era un chiacchierone, sempre con la battuta pronta, che fosse ironica o velenosa; però a letto era silenzioso, nel senso che si lasciava andare a versi e sospiri, sexy, ma non con le parole. Non mi diceva quasi mai niente. E lo preferivo, il suo silenzio era carico di passione, di aspettativa. Mi sembrava che facesse molto rumore, più delle frasi a effetto che mi rifilavano gli altri.

Guardare Milo lasciarsi andare era molto eccitante, cosa che non era praticamente mai capitata con le avventure che avevo avuto; talvolta facevano delle smorfie buffe e riuscivo a stento a trattenere una risata, invece lui era sexy.

S’inarcò all’indietro mentre, contemporaneamente, mi acchiappava per i fianchi per tirarmi più vicina e io salii un altro gradino verso l’Eden. D’improvviso rallentò il ritmo e andò più a fondo, strusciandosi forte.

Sapeva come darmi il colpo di grazia.

L’onda stava per travolgermi e, quando capii che lui era vicinissimo, che si stava trattenendo solo per me, lo liberai: mi lasciai travolgere.

Socchiuse gli occhi e lo guardai mentre stava per venire, ormai conoscevo a memoria le sue espressioni, eppure ogni volta mi colpivano, mi affascinavano.

Guardare lui abbandonarsi era un miracolo che si perpetuava, la Bellezza che faceva male e che, al tempo stesso, ti faceva credere più fermamente che esistesse un essere superiore che l’aveva creato, perché non era possibile che il Caos avesse assemblato Milo Romano.

Lui era perfetto, ai miei occhi. A parte il suo cuore.
Passato - 1 superiore

Mi guarda ridere per un lungo istante, sorridendo, poi torna serio “Allora, perché non mi parli?”

“Sì che ti parlo, Milo.”

“Ti piace parlare con me?” è serio, non sembra una battuta maliziosa.

“Sì… il più delle volte. Ma io non ricordo un ragazzino che parlava con me, mi ricordo uno che m’infastidiva, che mi tirava i capelli, che mi slacciava il grembiule, che mi chiedeva sempre la mia focaccia e che mi chiamava Vomitilla.”

“Hai un ricordo di me proprio insopportabile…”

“Ma no, dài, ricordo anche che mi passavi i compiti di matematica, che al posto della focaccia spesso mi regalavi M&M’s e che mi facevi battute divertenti. Eri simpatico. A modo tuo. Lo sei.”

“Uhm, proprio una dichiarazione ardente!” serio. Sembra quasi deluso.

Rido di nuovo “Vuoi che scriva qualcosa su di te sui muri del bagno?”

“Se fosse una cosa carina, sì!”

“Non ci sono brutte cose su di te, su queste mura.”

“E cosa c’è?”

“Oh, come se tu non lo sapessi!”

“Dài, dimmelo!”

“Tutta una serie di: Milo ti amo, Milo T.V.T.B., Baciami Milo! Romano forever! E altre imbarazzanti sulle tue doti baciatorie e i tuoi attributi.” facendo anche la voce smielata e svenevole.

Fa il sorrisetto “È stato proprio interessante sentirti dire queste frasi, anche se non le provavi. Magari un giorno me le dirai diversamente.”

L’istinto mi dice di chiudermi di nuovo in uno dei gabinetti ma riesco a trattenermi “Bello sognare, eh?!” la butto sull’ironia.

“Oh, sì! Una delle poche cose davvero belle che abbiamo… soprattutto se poi i sogni si avverano.”
Presente

Dopo venti minuti sentii il rombo di una moto, era dannatamente potente nel silenzio della notte.

Il cuore prese a correre perché riconoscevo quel motore.

Il rumore si fermò sotto il mio palazzo.

Non era possibile, non poteva essere venuto qui.

Mi tornò dolorosamente in mente quando mio padre era dovuto scendere per mandarlo a casa perché erano due ore che Milo restava seduto dal mio palazzo, mentre pioveva. Mio padre non mi aveva mai raccontato cosa gli avesse detto per farlo andar via, ma non avevo mai scordato il suo sguardo, era sembrato davvero preoccupato, non per me bensì per Milo. Così il giorno dopo avevo detto di sì a Samuel, che mi moriva dietro da mesi se non da anni e che era tornato alla carica circa dieci minuti dopo aver saputo che avevo piantato Milo davanti a mezza scuola.

Aprii la porta finestra della mia stanza e mi affacciai sul balcone.

Oh Dio! Era davvero lui.

“Scendi!” perentorio.

Ero al terzo piano ma nel silenzio della notte lo avrei sentito sussurrare.

“Vaffanculo!”

“Cazzo Petra, scendi! Giuro che ti sfondo il portone.”

“Sfondalo, così il palazzo ti denuncia! E anche se arrivi sino al mio piano, c’è la blindata.”

“Merda, scendi! Mi fai diventare pazzo. Scendi!”

“Sei ubriaco?”

“Ho bevuto due birre.”

“E guidi la moto?”

“Ti frega qualcosa che non mi schianti?”

“Schiantati pure!”

“Non lo pensi, sei una fottuta bugiarda fifona!”

“Hai bevuto prima o dopo aver messo a nanna la tua ragazza stronza?”

“Vieni a dirmelo in faccia, fifa blu!”

“Vaffanculo!”

“Trova qualche insulto più fantasioso, quasi laureata in Lettere del cazzo!”

“Vuoi un sonetto di vaffanculo?”

“Sì e voglio che tu me lo venga a decantare in faccia!”

Non mi veniva alcun sonetto, mi tornava in mente solo la poesia di Walt Whitman che lui amava e che io, ormai, odiavo.

“Scendi! Ho bisogno di parlarti, subito.”

“Non mi frega niente dei tuoi bisogni, Romano, ci pensa la tua nuova troietta!”

“Isabella non è una troietta.”

“Ma io sì invece!”

“Non ho mai pensato a te così, non ti ho mai trattata così. Scendi, cazzo, parlami!”

“Puoi provare con l’assedio, magari mi sfianchi per fame in qualche mese.”

“Sei sempre stata la più stronza di tutte e anche la più vigliacca!”

“E tu sei sempre stato il bastardo più falso di tutti! Almeno Samuel non si nascondeva dietro a un faccino d’angelo e alle buone maniere!”

Vidi il suo sguardo diventare un lanciafiamme: si attaccò al portone e lo scosse. Qualcuno avrebbe chiamato la Polizia.

“Vieni a dirmelo in faccia, Delfini! Vieni a raccontarmi di Samuel e di quanto vi siate divertiti! Parliamone una volta per tutte, di cosa cazzo hai paura?”

Era così diverso dal Milo ragazzino che avevo spiato fra le tende quel giorno lontano, che se ne stava seduto per terra sotto a un temporale, come un gatto fradicio e bastonato, che sollevava gli occhi verso la finestra della mia stanza finché non era costretto a riabbassarli perché gli si riempivano di pioggia.

Chiusi la porta finestra e mi gettai sul letto.

Se ne sarebbe andato, non era un pazzo e non era nemmeno più un ragazzino che si siede per terra ad aspettare una spiegazione che non gli avrei mai dato.

Invece gridò ancora “Di cosa cazzo hai paura??”

E poi citofonò.


Ci sono persone destinate a entrarti dentro e a restarci, anche se non ti apparterranno mai, anche se magari si finirà col stare con qualcun altro: si conficcano in qualche punto dell’anima che tu non riesci a trovare, anche se lo senti, senti la lama ma non riesci a trovarla, non riesci a estrarla, e in fondo non vuoi veramente tirar via quel coltello, perché è la stessa lama che ti ha ferito ma che sta anche impedendo che ti dissangui. Se la tiri via, sanguinerai, sino a svuotarti. Non rimarrà nulla. E quel dolore è meglio del nulla, ti ricorda che sei viva, che soffri perché te ne importa ancora qualcosa.

Milo era il mio coltello e sapevo che sarebbe rimasto sempre dentro di me.





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