Recensione: Viking Chronicles di Andretta Baldanza

by - venerdì, giugno 29, 2018

Questo pomeriggio la nostra Kei ci parla del primo romanzo di una duologia fantasy uscita nel 2017 che però non si è voluta lasciar scappare.
A lei la parola!




È Frejya che stabilisce il destino dei mortali mentre Odino si assicura che ne siano degni. Ma quando entra in gioco la dea Sjöfn, è sempre lei ad avere l'ultima parola, e nessuno può essere sicuro del proprio fato, nemmeno gli dei. Hindalvisk, X secolo d.C. Eric è un giovane uomo che vive secondo gli insegnamenti ricevuti da suo padre sull'onore e la giustizia. Alyssa è un'abile guaritrice itinerante. Entrambi hanno già tracciato la strada del proprio futuro, ma le rune del destino vengono rimescolate quando Alyssa viene catturata e ridotta in schiavitù da Eric stesso. Eric è un guerriero, pur non essendo un uomo violento, ed è fiero di combattere per il suo popolo ed il suo Re e di rendere suo padre Tjell orgoglioso nel Valhalla. Ha due fratelli minori a cui ha cercato di fare da padre dopo la morte di Tjell, e un fratello non umano: Ulfric, un lupo che ha salvato da cucciolo e che non si è più allontanato da lui.



Il mondo norreno è tutt’ora un mistero più fitto di quanto non ci sia dato credere, con l’abbondanza di libri, romanzi, film e fumetti che riprendono o trattano i suoi temi. Le figure del pantheon nordico sono ricorrenti e conosciute quasi quanto le divinità greche e romane, e non mancano certo le opere che prendono spunto dalla grande varietà di creature che abitano le leggende; eppure, trattandosi di culture multiple aduse alla trasmissione orale delle proprie storie, buona parte di ciò che sappiamo di dei, mostri, guerrieri ed eroi rimane avvolto nella nebbia dei tempi. La radice stessa della parola runa, stando a fonti filologiche incrociate, significa proprio questo: segreto. Sussurro. La voce del destino, che parla senza farsi udire, intrecciando i fili di vite completamente agli antipodi, come quelle di Eric Tjellsen e Alyssa, rispettivamente guerriero di Hindalvisk e guaritrice itinerante. Anime opposte, culture diverse, un’unica storia.


Stavo per darle le spalle, quando finalmente un filo di voce uscì dalla sua gola. 

«Io non ti appartengo» sibilò. 
«No, chiaramente no» risposi secco. 
Mi voltai e me ne andai, furioso con lei, con me stesso, con la mia debolezza, con la maledetta guerra che l’aveva portata a Hindalvisk, con tutti gli dei e con tutti gli uomini che conoscevo o avrei conosciuto in futuro. 


Da patita di miti e storie sul profondo nord non potevo che buttarmi nella lettura con entusiasmo, e lo stile dell’autrice ha contribuito a farmi immergere nella fredda Hindalvisk e nelle sue nebbie di guerra, cospirazione e capisaldi del codice guerriero… a tratti alterni. I punti di pregio della penna di Baldanza sono senz’altro la capacità di far risuonare all’orecchio del lettore le voci dei personaggi, dando loro corpo e intonazione appropriata, e la scorrevolezza che permette di godersi la storia senza intoppi, ma ha qualche pecca stilistica che potrebbe essere sistemato con una buona mano di editing ancora più approfondito, magari in occasione di un’edizione aggiornata. Nonostante ciò, il primo volume di Viking Chronicles si è fatto leggere con piacere e ho enormemente apprezzato la cura dimostrata dall’autrice nel rendere vivo e fervente d’attività il suo mondo antico.

La trama del romanzo è strutturata con altrettanta attenzione e scandita con un ritmo che mantiene coeso il filo degli eventi, con poche e rade pause in cui la narrazione lascia spazio a qualche parte più “raccontata” — vale soprattutto per i momenti in cui Eric parla della famiglia, della propria vita o delle tradizioni. Forse si sarebbero potuti incorporare in maniera più attiva nella sequenza di scene, ma con il procedere sostenuto della storia si può tranquillamente perdonare quelle che, anche grazie alla prima persona narrante, appaiono come considerazioni personali dei personaggi che di volta in volta impugnano la loro storia. Ulteriore merito dell’autrice è il lavoro di documentazione svolto per rendere più solido l’intero testo, anche se ho un paio di note da fare in merito. Non ho potuto fare a meno di notare gli omaggi all’ispirazione artistica presa dal telefilm Vikings, che hanno probabilmente instillato alcune imprecisioni. Ne cito un paio d’esempio: mentre nel romanzo appare la figura del völvor, nelle società nordiche, il ruolo della völva o spaekona era intrinsecamente femminile, dal momento che occuparsi di magia nelle sue varie declinazioni — il galdr, sortilegio, la spà, profezia, ma soprattutto il seidr — era considerato ergi, ovvero “non virile”, perverso e sacrilego. Non è raro che i praticanti maschi fossero ostracizzati, se non addirittura messi a morte. Qualcosa di simile può dirsi per la figura del berserkr, un termine che viene utilizzato in maniera spregiativa per un personaggio particolarmente sadico e violento. Se da un lato è vero che questi particolari guerrieri erano ritenuti incapaci di distinguere alleati e nemici nell’impeto di una battaglia per tutta una serie di motivi, è vero anche che questa forma di isteria battagliera era strettamente legata a Odino, nel suo aspetto più irruenti (Voden). Che un devoto del dio “insulti” un altro dandogli del berserkr, da questo punto di vista, è quantomeno un po’ controverso. Dal momento che si tratta comunque di un romanzo strutturato secondo un buon lavoro di documentazione e che, pur essendo storico, non ha una collocazione geografica e temporale esplicita, trovo che non sia un difetto tale da rovinare l’intera opera, ma non potevo non farlo notare come oggettiva debolezza del romanzo.


Mi avvicinai disperato e immersi le mani tra i suoi capelli, sperando che i miei occhi le dicessero tutto ciò che provavo, indipendentemente dalla parole che stavo per pronunciare. Rimasi per un momento immobile con la fronte appoggiata alla sua, assaporando il contatto con la sua pelle e sentendo le sue piccole mani scendere sui miei fianchi, per un solo istante, prima di fare l’ennesimo, doloroso passo indietro. Ci sarebbe mai stata una possibilità, per noi? 


Più del coraggioso Eric, diviso tra i suoi doveri di guerriero e la passione per la guaritrice finita — suo malgrado — in suo possesso, ho apprezzato molto Alyssa, decisa, stoica e pronta a qualunque cosa. Non che l’affascinante figlio di Tjell sia caratterizzato male, anzi, mi sono molto divertita a seguire i suoi POV, ma mentre almeno in questo primo libro si profila come un eroe a tutto tondo, contrapposto allo spietato Gunther, l’eroina ha una profondità e una complessità tutti suoi, che l’hanno resa presto una dei miei preferiti. Menzione d’onore per Viki, che lega le due voci principali con capitoli a lei dedicati. Non vedo l’ora di vedere come si snoderà la storia nel secondo volume della serie. Non temete: non vi terrò in sospeso a lungo.




Voto: tre stelline e mezzo su cinque
Alla prossima,
Kei.



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