Recensione in anteprima: Le donne di casa Blackwood di Ellen Marie Wiseman

by - giovedì, maggio 17, 2018

Buon pomeriggio lettori, oggi la nostra Kei vi parla di un romanzo in uscita oggi per la Newton Compton Editori.




Una sera dell’estate del 1931 Lilly Blackwood intravede le luci abbaglianti del circo dalla finestra spiovente della sua camera da letto. Non ha il permesso di esplorare i dintorni della casa. Non è neanche mai uscita dalla sua stanza all’ultimo piano. Sua madre sostiene che sia per il suo bene e che le persone si spaventerebbero se la vedessero. Ma quella notte calda e stellata è destinata a cambiare ogni cosa: Lilly esce dalla sua prigione e si dirige verso il tendone del circo. Più di vent’anni dopo, la diciannovenne Julia Blackwood ha ereditato dai genitori la tenuta di famiglia e la casa adiacente. Per Julia, quello è un luogo di ricordi infelici, pieno di regole ferree e stanze proibite. Tornare lì dopo tanto tempo potrebbe aiutarla a liberarsi dai fantasmi del passato? Scavare a fondo tra i segreti di casa Blackwood porterà Julia a scoprire verità scabrose e tradimenti di cui si è macchiata la famiglia, perché la sua storia è intrecciata a quella di Lilly, in fuga per trovare la sua strada nel mondo duro, a volte brutale del Circo dei fratelli Barlow.



Nella bruma fuori dalla finestra della soffitta, oltre le sbarre che sprangano il vetro, qualcosa si muove oltre i campi. È un lungo treno che percorre il Paese in ogni dove, portando una grande tendone colorato in tutte le provincie americane. Il suo carico di acrobati, pagliacci, animali esotici e domatori genera tanta meraviglia quanta repulsione negli onesti cittadini che accorrono ad assistere alle prodezze del circo. La piccola Lilly, segregata in un angolo della soffitta da una madre religiosa e zelante al limite dell’ossessione, sogna di potersi unire agli spettatori e fuggire anche solo per una manciata d’ore alla sua prigionia. Lei, che si è sempre sentita ribadire allo sfinimento il terrore che finirebbe per incutere nei suoi coetanei per un’ignota deformità, non ha mai messo piede fuori dalla sua stanzetta. Non conosce il tepore del sole, né quello di un abbraccio, e non può minimamente sospettare che il treno del circo le sconvolgerà la vita nell’arco di una notte.

Anche Julia è prigioniera di una routine che la bistratta. Fuggita da una famiglia crudele, si è lasciata alle spalle il clima soffocante e lugubre della bella casa in cui è cresciuta per correre incontro ad una libertà fatta di fame, patimenti e sacrifici. Un giorno, però, uno sconosciuto le fa arrivare una lettera che la costringe a fronteggiare il passato, portandola a scoprire i misteri a lungo celati dai suoi genitori.


Voleva conoscere il canto degli uccelli e la voce del vento. Voleva sentire sulla pelle la brezza e il sole.


Le premesse di Le Donne di Casa Blackwood, romanzo che si sdoppia su due diverse linee temporali per seguire l’intreccio delle vicende dell’una e dell’altra protagonista, stuzzicano certo la curiosità del lettore al punto da invogliarlo a immergersi nella storia. La trama è coinvolgente e lo stile lineare agevola certo la lettura… almeno fino al primo quarto. Dal momento in cui la “maledizione” della protagonista principale viene svelata, le svolte della trama sembrano incepparsi e rallentare fino a stagnare, verso un finale tanto brusco quanto irrisolto. Voltare la pagina non è più un atto piacevole, ma una brutta sorpresa che lascia interdetti a chiedersi se davvero il romanzo si concluda così. Questo, tuttavia, è solo uno dei motivi che hanno spento il mio entusiasmo per un libro cominciato col botto e terminato in maniera piuttosto deludente. Per esaminarli dovrò passare in rassegna dettagli specifici che potrebbero risultare spoiler. Se avete comunque intenzione di regalarvi questa lettura, ecco dunque un rapido riassunto di pro e contro; se invece volete saperne di più, non vi resta che proseguire fino alla fine dell’articolo!


Niente più coprifuoco e regole ferree, niente più preghiere notturne e confessioni settimanali, stanze chiuse a chiave. Niente più sensi di colpa per l’alcolismo di suo padre. Da quel giorno in poi sarebbe stata libera di fare quello che voleva. Avrebbe preso in mano le redini della propria vita.


Come accennavo, Le Donne di Casa Blackwood ha le sue perle nascoste. L’idea di fondo della storia è davvero apprezzabile, come anche l’abilità dell’autrice nel celare il rapporto che intercorre tra le due protagoniste fino all’ultimo, seminando tanti piccoli indizi che portano il lettore fuori strada per poi sorprenderlo. È facile empatizzare con Lilly, che seguiamo fin da bambina, per la quale non si può far a meno di sperare in un lieto fine. Ci sono inoltre scene che ho trovato genuinamente poetiche. Purtroppo il romanzo non manca di difetti. Non ho apprezzato la crudeltà gratuita di determinate scene e ho cominciato a faticare a seguire i salti temporali della storyline di Lilly, inizialmente scanditi e poi troppo veloci. Al di là di questi appunti strettamente personali e dunque non necessariamente condivisibili, trovo che i problemi davvero significativi del romanzo siano ben più gravi. Parlo di una caratterizzazione carente e piatta dei personaggi, che dopo il primo quarto del libro si dividono in buoni e cattivi senza alcuna crescita né sfumatura. Il ritmo procede in maniera disomogenea, penalizzando la storyline di Julia e lasciando aperta quella di Lilly, sconfinando in un finale da vero e proprio film horror; per concludere, ciò che ho trovato più grave è stata la mancata documentazione che rende la storia piuttosto superficiale: la patologia di Lilly non è trattata in maniera convincente e l’atmosfera non pare quella della prima metà del 1900.

Detto ciò, vediamo più approfonditamente questi difetti. Fate attenzione agli spoiler e proseguite a vostro rischio e pericolo!




Il circo è senz’altro uno sfondo suggestivo in cui ambientare la storia, magico e controverso, con un enorme potenziale da esplorare. Con una famiglia crudele alle spalle, Lilly avrebbe potuto trovare il supporto e l’affetto tra uomini e donne considerati emarginati dalla società da bene, e spesso le viene ripetuto che nel circo troverà buoni amici e potrà condurre una vita felice. Peccato che non sia così. I proprietari dell’intera compagnia itinerante sono poco meno che bestie e non fanno che maltrattarla dall’inizio alla fine del libro, senza risparmio, mentre il resto della troupe viene spaccato nettamente tra buoni e cattivi, seguendo un generico copione che li imprigiona in quella nicchia senza speranza di redenzione o di sbaglio. Se i primi sono caritatevoli e gentili, compassionevoli e spesso e volentieri passivi, gli antagonisti non hanno che vizi e sembrano costruiti apposta per farsi odiare, finendo per sembrare caricature di se stessi. La morte di uno di loro non lascia alcun segno, se non indifferenza. Le due protagoniste, sfortunatamente, non se la cavano molto meglio: Lilly è buona, gentile, timida, sensibile e generosa, al punto che, superata l’età dell’infanzia, appare davvero “la bambola di porcellana” cui tutti si riferiscono per descriverla. In condizioni che avrebbero schiacciato lo spirito di un qualunque essere umano, lei non muta, non evolve, e così Julia, che riprende tanto spiccatamente i suoi tratti caratteriali da lasciare poco spazio allo stupore.


Proprio questa mancanza di sviluppo rende ancor più marcato il ritmo altalenante che incide su tutta la storia, culminando nel finale spezzato di Lilly. Se pure si intuisce che l’obiettivo principale dell’autrice fosse chiudere il cerchio e annodare i fili rimasti laschi tra una donna e l’altra, il vero effetto di questa conclusione lascia a bocca aperta nel peggiore dei modi, inorriditi più per il vuoto irrisolto e inespresso che per la nota tragica e crudele che la caratterizza. Senza volerlo, la penna dell’autrice tratteggia una chiusura non-chiusura, che lascia aperta la porta sulla stessa situazione iniziale del romanzo: innumerevoli giorni di non-vita che rendono vana qualunque speranza la protagonista abbia mai nutrito. Per contro, la storyline di Julia ne esce fortemente indebolita: i suoi obiettivi, i suoi desideri e i suoi ostacoli sono molto più contenuti di quelli di Lilly, al punto da farla apparire piuttosto insignificante. Si ha la sensazione che l’autrice abbia voluto investire nel rischio, ma che alla fine abbia preferito fare retromarcia piuttosto che affrontarlo. Una sensazione che aggrava l’ultima carenza di questo romanzo, che personalmente trovo la più grave.


Il tema del diverso ha attraversato i secoli, evolvendosi in generi letterari pressoché agli antipodi. La disparità — di pelle, di religione, di fattezze, di provenienza — è tanto cara agli scrittori quanto trattata in maniere incredibilmente varie, e potenzialmente è uno dei temi più controversi e importanti che possano essere esplorati tramite la letteratura. Esistono però “tendenze” a raccontare la diversità che sconfinano nello stereotipo, e questo libro ricade purtroppo in questa categoria. Speravo davvero che la “deformità” di Lilly non fosse trattata con leggerezza, e che l’autrice avrebbe avuto il coraggio di raccontare un handicap senza tentare di indorare la pillola. Ma Lilly non ha mutilazioni. Non è nata con malformazioni. Non ha nulla che la renda davvero “il mostro” che tutti la reputano: al contrario, è bellissima. Albina, ma bellissima. Albina, ma senza i problemi fisici del tutto reali che accompagnano questa condizione, come la fotofobia, l’elevato rischio di ustioni, l’ipoplasia del nervo ottico o altri problemi di vista. Albina, ma perfetta. È la sua perfezione “da agnello sacrificale” a portare la madre a rinchiuderla in soffitta, non una disabilità né un difetto congenito. È una scelta che ho trovato non solo superficiale, ma offensiva. L’ennesima aggiunta ad una narrativa che tenta di rimediare alla diversità intrappolandola nei paletti di ciò che viene considerato socialmente accettabile, come da kalokagathia: ciò che è bello è anche buono, laddove uno dei personaggi che fanno parte del freak show del circo e che ha vere, evidenti deformità, è orribile dentro e fuori. Se questa visione si può considerare innovativa, mi chiedo francamente se mai arriverà il giorno in cui sarà possibile leggere libri in cui il diverso non dev’essere “guarito” da una bellezza e una purezza che odorano di un moralismo vuoto. Addurre la decisione di alleggerire la patologia di Lilly alla difficoltà di trattare il periodo storico in cui è ambientata la storia non cambia le cose: se si sceglie di affrontare la diversità, in qualunque sua forma, è necessario farlo con la dovuta documentazione e la volontà di comprendere tutte le delicate problematiche del caso. Visto il modo in cui l’autrice descrive con abbondanza di particolari l’uccisione violenta di alcuni animali, dubito sinceramente che le manchino le capacità di tollerare argomenti controversi. Ho più qualche riserbo sulla volontà.


2 stelline su 5

A presto,
Kei.







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